Tante buone e giustamente famose praline hanno come base la nocciola. Vi siete mai chiesti perché?
Le risposte sono più di una, come spesso succede con le domande intelligenti.
Certamente una prima risposta, ovvia, è che cacao e cioccolata, empiricamente, alla prova di assaggio cioè, stanno benissimo insieme.
Certo, un vero degustatore di “cacao monorigine” vi direbbe che non tutti i cacao hanno questa vocazione, alcuni magari preferirebbero un accostamento a frutta, o a sapori meno dominanti.
Io però vi parlo di un comune cacao, un “blend”, come si chiama una miscela di diversi cacao, senza grandi pretese di aromaticità specifiche, ma che trova comunque la sua dignità là dove viene correttamente lavorato e, infine, impiegato.
Di cosa è fatta una nocciola? Una buona nocciola, si intende.
In media, il 60% è olio, si parla di un grasso molto aromatico che a temperatura ambiente è liquido.
Ha poi un buon 13% di proteine, la qual cosa fa della nocciola una valida fonte di proteine vegetali.
Anche il cacao, come tutti i semi del resto, ha una buona percentuale di grasso: circa il 55%. Ricco di sali minerali e composti antiossidanti, e proteine, certo.
In comune hanno che, sottoposti al calore nel processo chiamato tostatura, sprigionano una infinità di gruppi aromatici alcuni dei quali vanno in risonanza, facendo impazzire le nostre papille gustative.
Una seconda risposta è certamente più prosaica, dato che riguarda il costo della materia prima.
Se vi dicessi che i pionieri che inventarono questa unione lo fecero (probabilmente) per abbattere i costi del cacao “imbastardendolo” con una materia prima più reperibile e meno costosa?
Probabilmente pensereste che sono matta, considerando i valori che oggi hanno cacao e nocciola.
Oggi una buona nocciola, italiana e magari pure IGP, non la trovate a meno di 18-20€ al chilo, mentre, che ci crediate o no, il cacao, che pure viene dall’altra parte del mondo, si attesta addirittura al di sotto di questo prezzo (e di parecchio, se non ambite alle accellenze o a certificati di sostenibilità, a certificazioni etiche ed altre accortezze. Purtroppo molti colossi dolciari non ambiscono a questi aspetti).
Al giorno d’oggi insomma non è più molto “economicamente vantaggioso” operare questa “adulterazione” alimentare.
Un tempo il cacao viaggiava su caravelle dal Nuovo Mondo, con i rischi di perdita del carico, il costo del viaggio e di chi lavorava, i dazi e molte altre spese; al contrario le nocciole venivano raccolte nei numerosi boschi che rivestivano di verde molte aree che oggi invece, purtroppo, non sono più tali.
Capirete che non deve essere stato difficile immaginare di unire questi due semi, macinarli insieme e trovare una giusta proporzione perché il cacao ancora fosse il sapore dominante ma, almeno, si potesse contenerne i costi.
Una terza risposta è invece più scientifica, la vorrei quasi definire “scienza dei materiali”, sperando che questo non rievochi troppo materie universitarie!
Ad ogni modo cercate di seguirmi perché è davvero intrigante.
Come già accennato poco fa, la componente dei grassi e soprattutto la loro morfologia, vale a dire come si presentano a temperatura ambiente, è molto importante.
Una delle caratteristiche che rende il cioccolato un materiale estremamente affascinante è che si può fondere (è totalmente fuso circa a 35°C) e poi, raffreddandosi, torna ad essere solido.
E questo, ovviamente, è grazie al suo grasso, detto burro di cacao.
Ecco, avete già capito dove voglio andare a parare: cosa succederebbe se mescolassi i due grassi, di nocciola e di cacao, prima che il burro di cacao torni ad essere solido?
Facciamo l’esperimento: il grasso della nocciola, che potete visualizzare come olio, mescolato al grasso del cacao, portato a temperatura di fusione per poterlo lavorare, va a formare qualcosa di nuovo, che si comporta seguendo le “leggi” di entrambi i due grassi di partenza.
Quindi: tenderà a sciogliersi a una temperatura molto più bassa di quella del burro di cacao “primitivo”, al contempo però non sarà più in forma liquida, come invece lo è l’olio di nocciola.
Per chi fa “ricerca” in ambito gastronomico è sempre elettrizzante trovare nuovi modi di mescolare la materia, comprendendone il meccanismo di basee (“nuovi modi” si fa per dire, visto che questo lo si conosce da secoli).
Consente ad esempio di creare il ripieno di un cioccolatino che non sarà duro come il cioccolato puro e non sarà troppo liquido come se avessi usato la pasta di nocciola pura.
C’è poi un’altra risposta, l’ultima per oggi, che riguarda la durata del cioccolatino.
Un tema molto, molto importante, nella produzione dei cioccolatini è valutarne la durata, nel senso di “salubrità”: fino a quando posso garantire che questo cioccolatino non sviluppi una carica batterica/fungina eccessiva che ne compromette la qualità? Altrimenti detto: quando scade?
Per far sì che l’interno di un cioccolatino sia morbido, occorre mescolare il cioccolato con un altro prodotto, spesso si usa panna (ottenendo la cosiddetta “ganache”) o un grasso liquido, il più delle volte pasta di nocciola.
Un cioccolatino che contiene panna, o purea di frutta, estratti o altri liquidi, purtroppo avrà vita molto breve (ovviamente se non si usano conservanti).
Un cioccolatino invece che contiene un grasso liquido avrà una data di scadenza molto più lontana.
Questo perché i batteri si sviluppano e prosperano in ambienti ricchi di acqua disponibile per la loro “colonizzazzione”: niente acqua, niente party!
Tra i vari “grassi liquidi” disponibili sul mercato certamente uno dei più nobili ed aromatici è quello che otteniamo dalla nocciola: chi ha mai sentito di una pralina all’olio di semi di vinacciolo?
Certo, in alcune ricette speciali, che richiedono un grasso quasi insapore, si potrebbe pensare di impiegarlo, ma perché privarsi di tutta quella serie di complessi aromatici che proprio lei, Sua Maesta la Nocciola, sa donarci?
E con questo ho finito l’elogio della nocciola,
buon proseguimento a tutti!
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