Negli ultimi anni sta prendendo piede una nuova coscienza. Ed è bellissimo. Non solo nel mio ambito, intendiamoci, anche per molti altri alimenti che accompagnano le eccellenze territoriali.
Pensiamo al formaggio che non è più solo quello da grattare sulla pasta, ma va assaporato con un particolare miele; e la degustazione del vino, materia che da tempo immemore vantava (pochi) famosi esperti, oggi è alla portata anche a noi “profani”; la birra non è più il semplice boccale schiumoso che accompagna la pizza, ma un mondo complesso e affascinante, espressione di artigiani qualificati.
E molti ancora sono gli alimenti a cui stiamo dedicando piccoli templi culinari.
E sì, anche la nostra amata cioccolata ora non è più (solo) la barretta da sgranocchiare mentre si cammina in quota per recuperare energie o la famosa cioccolata-K dell’Esercito, o quell’ovetto cavo per il quale i nostri bambini ci chiedono con occhioni lucidi mentre siamo in coda alla cassa, o ancora la semplice farcitura di un dolce di cui andiamo ghiotti.
Certo: si veste ancora di questi colori “pop”, ma la verità è che la cioccolata sta iniziando a interessare anche per i suoi aspetti più legati alla degustazione.
Ha scalato la vetta dei cibi gurmet.
Un indizio inequivocabile di questa radicale svolta lo troviamo nei discount: perfino lì troviamo le tavolette “mono-origine”.
Questo, se vogliamo fare un’analisi aridamente economica, ci indica che anche chi è abituato a non poter dedicare molto del proprio portafoglio al piacere degustativo, ha però una curiosità, un interesse in qualcosa che fino a pochi anni fa nemmeno conosceva.
Dal momento poi che questo interesse, da parte di tutti, va crescendo e non calando, qualcosa di interessante dovrà pur esserci, al di là della moda del momento.
In un’analisi invece storica, della storia degli ultimi decenni per lo meno, vediamo che se vent’anni fa pochi si erano chiesti come si facesse la cioccolata, ed ancora meno da dove venissero le materie prime che la compongono, oggi la tendenza è invertita.
Fioriscono mini-corsi e degustazioni guidate, registrando spesso il al completo.
Ne parla perfino la TV (purtroppo con le sue consuete inesattezze ed approssimazioni).
Molti artigiani poi iniziano a proporre cioccolata “bean to bar”.
Non è questa in sé la novità, visto che è proprio così che è nata la cioccolata.
La vera novità sta nel cliente che, ora, comprende il valore culturale, storico ed etico di un cioccolato veramente artigianale e, forte di questa consapevolezza, è disposto a pagare al giusto prezzo l’elevata qualità proposta.
E se, facendo un passo indietro e ampliando la nostra visuale, provassimo a ricercare il rapporto che c’è stato nella storia tra cioccolata e consumatore?
Come la mangiavano “a quei tempi” i nostri avi?
Perché è facile guardare a quello che succede oggi e confrontarlo con quello che succedeva solo ieri, molti di noi addirittura hanno vissuto entrambe le “epoche”, quella del cioccolato “di massa” e quella del cioccolato “da meditazione”.
Alcuni di noi, me compresa lo confesso, ancora saltellano da uno all’altro senza decidersi se preferiscono divorare il cioccolato senza doversi impegnare mentalmente, o invece lasciarlo sciogliere poco alla volta saturando i nostri sensi (detto a proposito cioccolato da meditazione).
Quando il cioccolato fu introdotto in Europa, venne ovviamente re-inventato rispetto le ricette dei popoli americani.
Si aggiungeva un edulcorante, per mitigarne l’amaro, si rifiutavano le spezie tradizionalmente aggiunte nei riti dei “selvaggi”, preferendo gusti più delicati e a cui si era già abituati, si preferì poi associarlo a un liquido tanto caro e indispensabile per la nostra Europa: il latte, totalmente sconosciuto nelle Indie Occidentali.
Il cioccolato in forma solida poi non doveva essere un’esperienza esaltante: processi come controllo delle temperature di fermentazione e di tostatura, raffinazione (nel senso di rendere “fine” la dimensione delle particelle), mescolamento continuo, corretta cristallizzazione, solo per citare alcuni dei passaggi più critici della produzione, non potevano raggiungere la qualità moderna per i limiti tecnologici dell’epoca.
L’elettricità non c’era, per capirci.
Ai nostri palati abituati a ben altre sensazioni vellutate e a distinguere tanti aromi, probabilmente non sarebbe quasi sembrato commestibile.
Ecco perché queste cioccolate “solide” erano destinate soprattutto a venir sbriciolate dai cuochi e impiegate per la preparazione della bevanda calda, molto apprezzata invece perfino nelle corti più splendide e nei primi café d’Europa.
Se oggi è “sofisticato” ricercare precursori aromatici e spiccate personalità gustative nel cioccolato, a quel tempo si definiva “erudito” l’atto enciclopedico di ricerca in ogni ambito.
E così arrivo al finale del mio articolo, nel quale vi propongo una “chicca” che ho scovato nelle mie recenti immersioni in vecchi e polverosi libri.
Forse qualcuno tra voi ha sentito nominare gli “Acta Eruditorum”.
Se così non è non preoccupatevene: si sopravvive benissimo anche senza.
Ad ogni modo, in mezzo a questa miscellanea di informazioni (scientifiche, ricordiamo, per l’epoca) trova spazio perfino un trafiletto sul cioccolato.
Si tratta di un riferimento ad un opera che tratta gli usi medicamentosi di the, caffè e cioccolata.
La pagina originale, ovvero il foglio 50, Anno 1866, III: Medica & Physica, Academiae Philexoticorum Naturae & Artis Acta, la trovate qui.
Ancora una volta bisogna ringraziare la mastodontica buona volontà di chi ha digitalizzato e reso pubblici questi antichi codici. Grazie, di cuore.
Come d’abitudine per l’epoca è in latino barocco, ma tranquilli, lo ho tradotto.
Tra le altre cose racconta con cosa“gli americani”, che per quegli anni erano i nativi, miscelassero il cacao e con cosa invece lo abbinassero gli spagnoli.
Ma ecco i passi interessanti:
Gli americani uniscono il succo concentrato di un albero fruttifero detto Achiote, noci della palma di cocco, noci americane, una certa specie di grano, detta maiz, e fiori di orejevale, e aggiungono questo miscuglio a quella massa del cacao.
Gli spagnoli sostituiscono la vaniglia a queste spezie sopra citate, di un aroma di genere più delicato, e peperoncino in una certa quantità; aggiungono la cannella e cariofilla, ed alcuni suggeriscono anche ambra e noce moscata;
di tutte queste ricette (l’autore) annette una descrizione, la modalità di preparazione, gli strumenti impiegati, colore, selezione e valore. A tutti egli antepone l’uso della cioccolata calda, preparata con la vaniglia, come da lui descritto;
afferma invero che sia di giovamento prima di tutto come tonico e coadiuvante per il vigore, e per altre sintomatologie
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