Un bel respiro.

Premesse

  • Lo zucchero di canna non è migliore di quello di barbabietola, entrambi si chiamano, per gli addetti a lavori, saccarosio;
  • Lo zucchero non è il male in Terra, semmai siamo noi che ne abusiamo;
  • Non dovremmo dire “lo zucchero” ma “gli zuccheri”. Non esiste solo il saccarosio; molti altri hanno proprietà interessanti e complesse e ciascuno è tecnologicamente adatto ad alcuni utilizzi piuttosto che ad altri;
  • Torno a ribadire che i dolci dovrebbero essere consumati responsabilmente: pochi e buoni per appagare anima e palato, non come snack per riempirci la pancia a merenda;
    Infine:
  • Quello che dirò di seguito sarà tutto corredato da FONTI aggiornate e approvate da organismi competenti, cosa che, ovviamente, non possono fare coloro che straparlano pur di vendere o di mantenere una propria aura di “migliore di…”.
  • Io non scrivo con lo scopo di promuovere qualcosa, se non la corretta ricerca e divulgazione. Rendo disponibile quello che io cerco per me stessa, per migliorare la mi formazione in ambito di produttrice di dolci e di esperienze gustative.

È davvero necessario dolcificare?

Il primo passo da fare è certamente questo: se qualcosa ci crea problemi, prima di provare a sostituirlo, è meglio capire se possiamo eliminarlo alla radice.
Di fatto noi mettiamo troppo zucchero anche dove si potrebbe tranquillamente evitare di metterlo.

La WHO, in questa fonte, spiega che per mantenersi in salute è necessario limitare il più possibile gli zuccheri e preferire quelli assunti tramite la frutta fresca, dato che il fabbisogno di glucosio da parte del nostro organismo si risolve con una dieta equilibrata (li mangiate, vero, i carboidrati? Perché sono importanti per rimanere allegri e pimpanti, come si legge qui).

Non sentiamoci in colpa se ogni tanto però ci va un dolcetto perché, a meno di patologie, possiamo tranquillamente sopportare un picco glicemico ogni tanto.

Magari cerchiamo piuttosto di orientare i nostri momenti di dolcezza verso prodotti che ne valgano la pena: evitiamo la merendina che oltre agli zuccheri ci dà pure una botta gratuita di grassi e di carboidrati “vuoti”, e preferiamo un dolcetto artigianale: una pastina con una deliziosa crema pasticcera fresca, un cioccolatino con un ingrediente sfizioso, una fetta di crostata fatta in casa, un quadratino di cioccolato… Tutte cose da degustare, più che trangugiare, in modo da farci prendere il tempo di dare un giudizio attraverso tutti i nostri sensi.

Un mio consiglio è di tenere un “diario alimentare” nel quale scrivere i pasti che più ci hanno deliziato, o anche singoli piatti o appunto dolcetti.
Ci si esercita così a comprendere davvero quello che stiamo mangiando e ci si auto-educa a prendere il giusto tempo per questo atto così naturale eppure così complesso e importante!

Sarà divertente scoprire che tra i dolci quelli che più ci coinvolgono sono quelli meno zuccherati ma che lasciano più spazio alla qualità degli altri ingredienti; una crema pasticcera non migliora mettendo più zucchero, ma usando uova genuine o una bacca di vaniglia raccolta e seccata a dovere, o dalla giusta cottura che la renderà talmente vellutata da farci venire l’acquolina in bocca solo al pensiero (vero che vi sta succedendo?).

Quanto dolcifichiamo?

Un altro esercizio un po’ meno divertente è provare a pesare la quantità di zucchero indicata come ottimale, giornaliera, per un adulto.
Quanto è? Nel link che ho già indicato prima, ma lo ripeto, pagina 16, dicono che deve essere inferiore al 10% del totale delle calorie assunte giornalmente.
Quante calorie necessita la macchina umana giornalmente per andare avanti?

Qui mi fido dei classici siti che ti calcolano il metabolismo (ho provato con diversi e siamo tutti lì quindi per confronto dei valori medi direi che mi fido abbastanza dei loro calcoli).
Risulta che necessito di 1322 calorie per il metabolismo basale e di ben 1800 per il fabbisogno giornaliero.
Nel mio caso quindi 1322*10% sono 132g d zucchero. Al giorno.

Fatelo; calcolate il vostro fabbisogno giornaliero, traetene il 10% e poi prendete una bilancia: pesate lo zucchero in un bicchiere.
Non è tanto vero? E quello è il valore massimo, non quello raccomandato (che tecnicamente potrebbe essere pari a zero, con una dieta ben bilanciata).
Se penso che già un solo bicchiere di (NOTA-BEVANDA-GASSATA) ne contiene circa 20g…
Forse la prossima volta prenderò un bicchiere di acqua e mi concederò quella fetta di torta Sacher a cui ogni volta rinuncio pensando a quella giacca in pelle che sennò non riesco più a infilare…

Ha senso “sostituire”?

Questa è la “stevia”. Ok, …se lo dicono loro.

E qui è lo stesso mercato che ci fa l’occhiolino:

“Non rinunciare alla (NOTA-BEVANDA-GASSATA), la facciamo anche LIGHT per cui non devi preoccuparti, bevila e poi mangia pure la torta!”

Alcune ammiccano anche a chi ha paura dei dolcificanti “chimici” (confondendo al solito “prodotto chimico” con “prodotto di sintesi”) come il “sodio saccarinato”, proponendo alternative scritte in verde, come “Stevia”, che di verde hanno solo, appunto, la scritta..
Non ce l’ho con la pianta stevia, che anzi è gradevole: staccare una fogliolina e rosicchiarsela, come si fa anche col basilico, con la salvia e con altri aromi è un piacevole diversivo per il palato.
Parlo di quel preparato bianchissimo in compresse che troviamo sullo scaffale vicino allo zucchero e all’aspartame.
Purtroppo di stevia lì dentro ce n’è davvero pochetta…
Se leggiamo l’etichetta (di uno di quelli meno peggio, tra l’altro):

dolcificante sorbitolo, acidificante citrato monosodico, bicarbonato di sodio, dolcificante glicosidi steviolici (12,9 %), antiagglomeranti diossido di silicio e stearato di magnesio.

insomma, solo poco meno del 13% sono sostanze estratte dalla stevia. E non è nemmeno citato il Rebauside A, che è tra i vari composti estratti quello più pregiato e dal potere maggiormente dolcificante.

Insomma, se siamo chemofobici, la “stevia” commerciale non è di grande aiuto
Per chi non teme invece parlare di composti, eccoci:
il sorbitolo è un dolcificante presente anche nella bacche del sorbo (e da lì copiato e riprodotto artificialmente in laboratorio), citrato e bicarbonato regolano acidità e alcalinità del prodotto (oltre che agire da conservanti), gli altri due sono sali inerti e insapori che servono a far star insieme la pasticca e a non farla rimanere appiccicata agli stampi con cui viene compressa in quella forma.
Insomma, interessante da provare, così tanto per, ma io continuo a preferire l’uso, se proprio devo, del normale zucchero (che in molte ricette ha funzione strutturale, non solo di dolcificante, ma di questo non ne parlo qui sennò finisco dopodomani).

Oltre a questi dolcificanti esistono anche una vasta quantità di proposte di “zuccheri” che vengono percepiti come meno dannosi del saccarosio puro.
Lo stesso zucchero di canna, anche se è ESATTAMENTE la stessa molecola (saccarosio) sembra meno “cattivo” di quello ottenuto dalla nostrana barbabietola; la differenza sta nel fatto che in quello di canna ci sono anche impurità; abbassa quindi la quantità di saccarosio a parità di peso, ma per avere uguale potere dolcificante ne dovrei mettere di più (e ripeto… è sempre e comunque saccarosio).
Passando per gli sciroppi (agave, acero, betulla, palma…) che semplicemente incidono meno sul conteggio finale degli zuccheri perché… contengono meno zucchero a parità di peso.
Mi spiego meglio: un cucchiaino di miele è 97% zucchero (tra fruttosio, glucosio e altri in percentuali quasi ridicole), dove invece una identica quantità di sciroppo di acero contiene tra il 50% e il 70% di zuccheri, il resto è…acqua.

Beh, indispensabile se si fa colazione con i pancake. No?!

Dolcifica di meno, apportando però una serie di (squisite!) note aromatiche che ci permettono di fare volentieri a meno del dolce in cambio di un sapore più interessante.

È sicuramente un buon compromesso per imparare a diminuire sempre più l’aggiunta di zuccheri, ad esempio nei nostri te, ma non per la percezione comune del “fa meno male per la fonte da cui proviene”, piuttosto “fa meno male perché c’è meno saccarosio”. Quando sentirò un Guru del macromicronutriceuticapranorespirianspinozianesimo dire questa frase andrò letteralmente in brodo di giuggiole.

Ed ora l’osso duro: lo zucchero di palma, anche detto zucchero dei fiori di palma.
Credo sia capitato anche a molti di voi di leggere quanto sia infinitamente più salubre, abbia un indice glicemico più basso, sia magari “raw”.
Vediamolo insieme.
Intanto, come me, chiedete le prove. Chi ne decanta le virtù deve farlo con cognizione di causa, altrimenti non è un professionista.
Purtroppo a me sono stati indicati, come fonte di informazione, il sito del produttore a cui si rivolgono (che insomma, credo abbia tutto l’interesse per farsi propaganda, e che comunque a sua volta non cita studi frutto di consenso scientifico) e alcuni articoli su una rivista on line, non di carattere scientifico, che però almeno rimanda a qualche articolo che a spizzichi e bocconi qualcosa dice.
Nulla ovviamente che mi convinca che lo zucchero di cocco sia la salvezza dell’umanità.
Quindi ho tentato di arrangiarmi e di trovare fonti più autorevoli per orientarmi.

Intanto facciamo una distinzione, non stiamo parlando del miele di palma (quello ottenuto incidendo il fusto della palma (ad esempio lo avevo visto alla Gomera, nelle isole Canarie, sulla palma Phoenix canariensis), ma di quel prodotto che si presenta in granuli, vagamente simile al canna mascobado, ottenuto dall’incisione del fiore della palma da cocco. Il pasticcio tra le due cose succede perché, a quanto leggo, la linfa della palma e il nettare del fiore in realtà coincidono: solo che a livello della infiorescenza il liquido si fa più zuccherino andando a “semplificare” gli amidi che la pianta ha in precedenza accumulato, di fatto liberando molecole di glucosio e fruttosio (i mattoncini con cui sono fatti alcuni amidi) (lo so, da qualche parte nel mondo un biologo sta morendo: battiamo tutti le mani così forse resuscita!).

Zucchero di palma. Per farlo capire meglio, qui lo hanno fotografato dentro una noce di cocco. Ebbravi.

Leviamoci da davanti il discorso “raw”.
Quando la linfa/nettare zuccherino viene raccolta è in stato, ovviamente, liquido.
Si può ottenerne la consistenza semi-asciutta (con cui lo compriamo ormai ovunque) facendo evaporare l’acqua.
Questa evaporazione può avvenire in modo naturale o in modo forzato.
Da questo deriva che se lo si scalda poco (come i crudisti vogliono, sotto i 42°C) e poi lo si lascia a decantare, le proprietà dovrebbero preservarsi. Viceversa, facendo salire la temperatura e quindi accorciando i tempi di evaporazione, si perderebbero (per la disciplina del crudismo) le qualità nutritive.
Lungi da me criticare qualcosa di dimostrato chimicamente, è un dato di fatto che alcune vitamine sono termolabili. La cottura quindi toglie o diminuisce la quantità di questi elementi spesso molto importanti (come la B1, B2, B5, C…).
Quello che mi fa un po’ sorridere è l’idea che sia questo zucchero quello che farà la differenza sulla mia dose giornaliera auspicabile di suddette vitamine.
Facciamo due conti, insieme, come piace a me.

Ho tratto il dato quantitativo di tiamina (vitamina B1) dalla tabella di questo sito. Purtroppo devo prenderlo per buono perché sono gli unici (anzi grazie che lo fate!) che riportano una tabella completa per elementi e quantità.
Dunque leggo che per 100g di zucchero di cocco ho 0,41mg di vitamina B1.
Dal momento che qui (pag 164), la WHO indica che sono consigliabili 1,1mg al giorno (per una donna adulta, per un uomo 1,2mg), per soddisfare tale fabbisogno dovrei mangiare ben più di 200g di zucchero.
Sì insomma, anche se l’indice glicemico dello zucchero di cocco non è alto come quello del saccarosio puro, capite che non è una grande idea, vero? Piuttosto mi mangio un piatto di lenticchie con cui assumo pure qualche proteina e mi sazia.

A fronte della perdita di queste preziose vitamine (che però recupero appunto nella normale dieta, anche vegana!) con la cottura ho però il beneficio di abbattere la carica batterica.
Eh sì, perché il non bollire un alimento molto zuccherino e non del tutto secco non è a mio avviso molto furbo.
Non mi va di menzionare gli agenti patogeni che si possono trovare sugli alimenti consumati crudi e non manipolati con la MASSIMA attenzione alle contaminazioni ambientali. È quasi ora di pranzo, mentre scrivo, e preferirei non farmi passare l’appetito.
Fate voi una rapida ricerca, googlate “batteri e agenti patogeni su alimenti crudi” e poi tornate.

Fatto? Insomma, io francamente preferisco, se proprio era crudo, usarlo in impasti che poi cuocio.

“Naturalmente”

Infine vorrei cercare di capire cosa si intende quando si dice “naturalmente”.
Per esempio, una tisana alla melissa, senza zucchero, ad un palato abituata a sorseggiarla così com’è, sembrerà già “dolcificata naturalmente”, grazie alla forte aromaticità della melissa.
Sarebbe più naturale se utilizzassi in quella stessa tisana del miele piuttosto che del saccarosio? Dovrei preferire uno sciroppo di acero a un cucchiaino di zucchero di cocco?

Quale sceglieresti?

È proprio da domande ambigue come queste che nascono le incomprensioni. Analizziamole.

Con naturale si intende qualcosa di reperibile in natura.
Faccio un esempio estraneo all’ambito alimentare per avere una prospettiva diversa.
Una stuoia in giunchi è naturale: è fatta di giunchi intrecciati! Sicuramente non è altrettanto naturale una stuoia in cotone, cotone che è stato non solo coltivato ma anche lavorato per farne una fibra tessile. Eppure il cotone è ancora naturale, se ora pensiamo a una stuoia in schiuma di poliuretano. Quale è il confine che spontaneamente ponete voi tra naturale e artificiale?
Domanda: ma una stuoia in natura perché mai dovrebbe esistere?

Tornando a noi: la maggior parte dei polioli utilizzati come dolcificanti a calorie zero sono prodotti di sintesi, mentre il saccarosio, quale sia la fonte da cui lo estraiamo, è sempre e in ogni caso frutto di alcuni processi produttivi per raggiungerne una maggiore purezza. Foglie di piante zuccherine tritate o linfa lasciata seccare sono certamente quello che più si avvicina alla “stuoia di giunchi”, ma non sono certo paragonabili come risultato al saccarosio…
Provate a dormire una notte su un terreno ricco di pietre e umido sdraiandovi sulle tre stuoie. Quale preferireste?
Ora provate a dormire in spiaggia, ora in una pineta, ora ad usarla per fare yoga nel vostro giardino.
Io vorrei avere tutte e tre le stuoie, scegliendo di volta in volta quella più adatta al contesto!

Il concetto di naturale insomma è qualcosa di soggettivo. E non è nemmeno la questione più importante nella scelta del prodotto che utilizzerò per rendere più dolce il mio alimento; la quantità sarà talmente ridicola che nessuna delle caratteristiche aromatiche farà davvero la differenza.
Fanno la differenza le seguenti cose:

  • Saperne usare meno e meglio;
  • Saper scegliere i giusti gusti in abbinamento al giusto piatto (sì, ho trascurato di dirlo ma lo davo per scontato che sapessimo che lo zucchero bianco ha un sapore neutro mentre ad esempio lo sciroppo di acero è molto saporito… per cui in alcuni dolci mi servirà per forza una dolcezza neutra e in altri mi andrà benissimo rendere più complesso l’insieme della ricetta);
  • non farci abbindolare dalle mode, cercare le novità perché è importante scoprire nuovi sapori, ma nel momento in cui ci viene presentato un “superfood” farse sempre due conti: apporto effettivo di nutrienti decantati per quantità che sarò davvero in grado di ingurgitare -e conseguenti possibili aspetti collateralmente negativi-
  • Lo ripeto in altri termini: ragioniamo con la nostra testa; la abbiamo tutti di serie gratis, ed è scientificamente dimostrato che usandola ci si può divertire… imparando!

Sì, ho finito.

Ho un regalo per chi ha letto fin qui: un documento, con approfondenti anche piuttosto tecnici qua e là, che mi sono creata con fatica partendo da molti libri di testo, ricerche, lezioni universitarie… insomma, un po’ un mio piccolo tesssoro. E che continuerò ad aggiornare.

Però prima ascoltate le mie lamentele ancora per due righe. Questo articolo è scaturito dall’ennesimo post in cui si demonizza lo zucchero, proprio lo zucchero in generale.
Ora io raramente dolcifico (nemmeno con i polioli) le mie bibite e anche nelle ricette dei dolci amo essere parsimoniosa: ho imparato grazie al mio lavoro che bisogna mettere l’accento sugli altri ingredienti.
Buttare però via così, senza dargli il giusto valore, questo alimento, beh! mi ha dato davvero fastidio.
Vi prego quindi: pensate con le vostre teste!

Questa immagine fa un po’ di terrorismo psicologico, però ammetto che è geniale, ecco perché la metto. In fondo così ora decidete autonomamente se aggirare il cartello o essere ligi al codice stradale.

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