Il cioccolato rosa

perchè essere curiosi è cosa buona e giusta!
 perchè è giusto essere curiosi

notizia del 2017: è statto inventato il quarto tipo di cioccolato!
Dopo fondente, al latte e bianco, ecco il cioccolato rosa!

Il fatto che siamo nel 2020 inoltrato e ancora stiamo parlando di questo “nuovo” prodotto fa capire che, quantomeno, merita la nostra attenzione.

Per chi “era dentro” nel mondo del cioccolato non è passato in sordina; da più di 10 anni era in sviluppo questo nuovo prodotto, firmato Callebaut (unica azienda che può produrlo, essendo un suo brevetto).

Ma vediamo di procedere con calma, analizzeremo quello che si trova nel web e alla fine dirò la mia personale opinione.
Va da sé che ce la metterò tutta per essere obiettiva.

Cosa si trova in rete

Esiste perfino una voce in Wikipedia, che cerca di raccontare cosa sia “Ruby” (il nome commerciale di questa “quarta” varietà di cioccolato).
La cosa migliore da fare è però guardare come lo presenta il produttore stesso, Barry Callebaut (trovate l’intera pagina qui, leggetela che ora ne parliamo).

Dice:
“Dopo quello fondente, al latte e bianco, il cioccolato Ruby è la scoperta più insolita degli ultimi 80 anni.

ma è soprattutto la frase dopo che, ad un ciocco-nerd, suonerà strana:

“-[…] nato dalle fave di cacao Ruby”.

“Le fave di cacao Ruby crescono nei paesi in cui si coltiva normalmente il cacao, come il Brasile, l’Ecuador e la Costa d’Avorio. Non sono né i geni né l’origine del cacao a determinare le caratteristiche delle fave Ruby. È la presenza naturale di alcuni componenti tipici che conferiscono al cacao il profilo delle fave Ruby e ne determinano il colore e il gusto.”

Evidenziamo anche che hanno siglato questo “cacao” come RB1, voi tenetelo a mente che poi ci ritorniamo.

Vorrei infine far notare la grafica di questa pagina, sviluppata con grandissima professionalità (e ci mancherebbe, che col fatturato che ha la Callebaut non potesse permettersi dei grafici ed esperti di web-marketing più che competenti!).
Sembra pensata proprio per un pubblico giovanissimo.
Immagini editate, con scritte in font accattivanti, poi testo classico….
Grassetti, paragrafi, colori… insomma un capolavoro che ha lo scopo di convincere, te professionista, ad acquistare questo cioccolato per poter interessare a quella fetta di cliente che rischi di perdere:
superata l’infanzia, il cioccolato perde per svariati motivi il suo fascino, per tornare magicamente superati gli “enta” e ancor più negli “anta”.

E se tu artigiano non hai grande inventiva e non sai come attirare i nuovi giovanissimi clienti, ci pensa “mamma Callebaut” con un prodotto esclusivo e (sul serio) accattivante.
Oggettivamente, il colore è bellissimo.

Ed ecco che gli adolescenti tornano in cioccolateria/pasticceria, se non altro per fare stories sull’assaggio del cioccolato rosa.

E sapete cosa? Non c’è niente di male in tutto questo, il marketing è proprio a questo che serve.
Poi magari mi prendono anche il cioccolatino classico perché lo regalano alla nonna.

Finalmente, scrollando, trovo quello che un professionista del cioccolato desidera sapere fin da subito: che tipologia di cioccolato è?

Quindi: è un cioccolato al latte! Dice: % minima di latte: 26,4.

Se non ci basta, possiamo cercare gli ingredienti:

cacao minimo 47,3% – zucchero, burro di cacao, latte scremato in polvere, latte intero in polvere, emulsionante; lecitina di soia, acido citrico, aroma naturale di vaniglia. 

Sorpresa! Oltre a confermare che è un cioccolato al latte, troviamo un altro ingrediente atipico: l‘acido citrico.

Niente di male eh, è un conservante che si trova ovunque, antiossidante e davvero innocuo (tranne che per il calcare, lo avete mai provato contro le incrostazioni sul lavandino? Fantastico).
Anche io uso l’acido citrico in produzione, nello specifico nelle meringhe che grazie alla presenza di un blando acido mantengono la spumosità più a lungo e quindi non “collassano” nella loro cottura.
Solo, è strano che sia presente in un prodotto (il cioccolato) che non ha bisogno di antiossidanti, conservanti o un ambiente acido per motivi biotecnici; fa riflettere..
Forse che il colore rosa è “delicato” e va protetto appunto con questo antiossidante?

Gli antiossidanti hanno proprio lo scopo di impedire l’ossidazione, principale responsabile dello inscurimento degli alimenti: pensate alla mela, che una volta tagliata diventa rapidamente giallo scura e poi arancione se lasciata all’aria. Se invece ci mettiamo sopra del succo di limone (che contiene appunto acido citrico) ritardiamo questo fenomeno.


La mia è una pura supposizione: come già detto esiste il segreto sulla ricetta del Ruby, essendo un brevetto, quindi le mie sono solo idee che butto lì.

Perché il cioccolato (quello classico) non ha bisogno di antiossidanti/conservanti e compagnia cantante?

Il cioccolato contiene due ingredienti base, il cacao e lo zucchero.
Gli altri (lecitina di soia, aromi, eventuale latte disidratato) non cambiano la sostanza di quello che sto per dire.
Il cacao proviene già da un processo ossidativo importante (la fermentazione) durante il quale le fave subiscono cambiamenti molto importanti a livello molecolare.
Visivamente lo si può apprezzare dal colore che passa dal bianco/rosa/viola originale (a seconda del cacao cambia il colore dell’interno del seme fresco) ad un viola scuro/marrone che può essere più o meno chiaro e tendente al rosso, ma pur sempre scuro.

Questa bellissima immagine è tratta da un libro che consiglio a tutti i cioccofili di acquistare: Making Chololate, di T.Masoins, G. D’Alesandre, L. Vega e M. Gore.
Si vedono i vari passaggi della fermentazione, dal primo giorno (a sinistra) all’ultimo (a destra) e possiamo apprezzare come cambia la colorazione interna del seme.

La successiva tostatura (non indispensabile, come ci insegnano i “cioccolati crudi” che ultimamente spopolano) trasforma ulteriormente questo colore in un adorabile marrone, che poi è un tutt’uno con l’idea stessa che abbiamo del cioccolato.

Quindi qui c’è il secondo “indizio”: forse che “la Ruby” non viene tostata? Anche qui, chiaramente, è una mia supposizione.

Per quanto riguarda invece lo zucchero, nel cioccolato ha più di una funzione: strutturale, di dolcificante ma anche di conservante.

Il fatto che si abbia un prodotto finale totalmente privo di acqua e in più composto in parte di zucchero, rende il cioccolato (parlo delle tavolette) davvero longevo senza bisogno di aggiungere conservanti.
Ma quindi, l’acido citrico se non serve a “far durare” il cioccolato, perché se la cava benissimo da solo, a che serve?

Nella pubblicità, promossa dalla stessa azienda produttrice, si dichiara che non sono aggiunti aromi o coloranti, quindi nemmeno quella acidità (che contribuisce a farci sentire sapori di frutta di bosco) è data dall’a. citrico.

Ha quindi davvero una funzione esclusivamente di additivo, per cui (secondo me) è lì in qualità di antiossidante.
E anche qui: non c’è proprio niente di male!

La genetica e il marketing

Dicevo prima di tenere a mente il discorso “fave di tipologia Ruby” e la successiva affermazione che non c’entra nulla né la genetica né l’origine.

L’origine

L’origine del cacao è un argomento molto dibattuto.
In generale il cliente medio sta iniziando a cercare prodotti che abbiano qualcosa in più del semplice sapore, ovvero cercano “una sotira”.
Le aziende produttrici lo hanno (finalmente) capito e quindi che fanno?
Puntano su una storia che sia facilmente d’impatto, ovvero “l’origine” del cacao.

L’idea di per sé è buona, infatti ha permesso a molte zone del terzo mondo di veder aumentare l’interesse per i propri prodotti, tra i quali il cacao.
Il problema sorge quando “l’origine” non veicola più quello che sta dietro la produzione di quei cacao, ma letteralmente si ritrova svuotato del significato etico, diventando pura parola descrittiva:
“ok, questo viene dall’Ecuador. Questo invece è del Ghana”.
Ma, che cacao è? Come e da chi viene coltivato / raccolto / fermentato / essiccato / pagato / esportato / lavorato?
Tutto questo non interessa, o meglio, si fa di tutto perché non interessi al di fuori del mondo cioccofilo. (E non è una, purtroppo, opinione da complottaro).

sacchi di juta contenenti fave di cacao, pronte per essere stoccate ed esportate

La genetica

Anche la genetica ha, purtroppo, una storia simile, solo che chiamando in campo termini difficili (come cloni, alleli, nomi spagnoli che non si sa come pronunciare…) è filtrata in modo molto semplificato, per cui troviamo “solo” il trittico insulso del “Criollo/Trinitario/Forastero”.

Callebaut quindi con le sue dichiarazioni, si tutela da coloro che credono che la qualità sia data dall’origine (dato che è evidentemente un blend, cioè un miscuglio di origini) o magari dalla genetica, o quella che ritengono essere tale.
(Ah, quindi non è un criollo? Allora non lo voglio).

Per dare però pur qualcosa in pasto a chi non è magari interessato ad un approfondimento accademico, ma è appassionato di sigle e dell’aura di scientificità che esse trasmettono, ecco che la Callebaut offre la bella sigla RB1.
Che non vuol dire niente, al di fuori dei laboratori di ricerca aziendale, dal momento che nella botanica del cacao si utilizzano certamente le sigle, ma per identificare i cloni, spiegarne la genetica e aspetti, tutte cose che l’azienda produttrice ha appena finito di dire non essere rilevanti sul colore e sapore del cioccolato finale.

Paragrafo per choco-nerd

Per fare un esempio, è arcinoto il caso del clone CCN51; detestato dai puristi perché (secondo loro) povero di componenti aromatiche di spicco, apprezzatodai coltivatori perché resistente alle malattie, resiliente al clima, molto produttivo e assai richiesto (quindi acquistato) dalle aziende maggiori (proprio per le sue caratteristiche abbastanza “neutre” e “cioccolatose”, necessarie per ricette che devono mantenersi costanti nel tempo).
Chi trova negativo che questo clone sia stato esportato e sia abbondantemente coltivato ormai ovunque, è certamente motivato con le migliori intenzioni dalla propria ricerca di qualità organolettiche uniche, ma dimentica che il mercato è formato in buona parte da clienti che cercano proprio il sapore “cioccolatoso”; che il cioccolato non serve solo a fare tavolette superbe (che purtroppo solo in pochi comprenderanno davvero) e che talvolta è proprio necessario avere un cioccolato di base che sia neutro (mia opinione personale).

Ecco, questo è il caso in cui una sigla significa qualcosa che può essere studiato e analizzato (infatti ci sono parecchi studi sul CCN51 e questo è il primo che mi è capitato sott’occhio; leggere Motomayor come co-autore già è garanzia).
Una sigla che identifica un profilo genetico e sul quale si possono avere dati.
Insomma, qualcosa su cui si può ragionare ed avere opinioni personali, basate però su dati oggettivi oltre che esperienziali.

La mia personale opinione

Un prodotto “secretato”, non quindi analizzabile, per il quale l’unica descrizione è quella fornita dal produttore è, forse, un po’ troppo autoreferenziale per poter dare un giudizio globale ed oggettivo, questo è quello che penso.

Vero è che si presta a numerosi usi, e il fatto che da solo dica poco (come racconto a breve), non lo rende meno interessante ad esempio abbinato a mousse, creme gelate, o come uso decorativo.
Senza contare l’appeal di cui abbiamo già parlato all’inizio.

Ed ecco la mia opinione all’assaggio.

Intanto vi invito ad assaggiare una tavoletta di “Ruby”; come vi invito ad assaggiare una tavoletta “Lindt”, una “Domori”, una “Coop”, una “Donna Elvira”, e questo perché l’unico modo per avere una opinione su qualcosa è sperimentare, e col cioccolato potrebbe essere pure piacevole 😉

Trattandosi di un cioccolata al latte, bisogna mettere in conto che sarà dolce e che come consistenza sarà leggermente più pastoso di un fondente.

Aromi e sapore: esattamente come annunciato dal produttore, risulta molto fruttato, spicca l’acidità e la sensazione da “frutto rosso”.
Per quanto mi riguarda, ho, ahimé, percepito anche altri aromi secondari davvero sgradevoli, ma si sa che il gusto è molto soggettivo; quel tipo di profilo, come mi bha detto un amico cioccolatiere ben più esperto di me, in genere si associa a una fermentazione non particolarmente ben riuscita, cosa che può capitare.

Purtroppo non ho la fotografia della tavoletta che ho assaggiato perché ormai sono passati un paio di anni e all’epoca non pensavo che ne avrei scritto, mi ero però diligentemente scritta il profili di gusto e olfatto durante la degustazione, dai quali sto attingendo queste informazioni.

Se vi state chiedendo se per caso io lo abbia in negozio… la risposta è … no (e nemmeno prevedo di averlo!).

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