Può il cioccolato scadere?

Vi è mai capitato di trovare in fondo alla dispensa una tavoletta di cioccolato della quale non vi ricordavate più?
…No, già… Neanche a me.
Però chissà, magari un giorno i vostri bimbi ad Halloween riceveranno una tavoletta di cioccolato di dubbia origine e aspetto vetusto.
E sarà per voi lecito chiedervi: sarà ancora buona?
Quindi, cerchiamo insieme di capire quali sono i parametri da considerare per decidere se potrete mangiare con tranquillità quel cioccolato o se invece è il caso di regalarlo al compost (o tenerla lì per il prossimo Halloween).

Certamente ci sarà indicata una data di scadenza, da qualche parte sull’ involucro della tavoletta. Dovrebbe.

L’indicazione è però un “preferibilmente entro” e non un perentorio “entro e non oltre”, questo lascia sempre quel dubbio …
Ma e se la mangiassi?

La legge stabilisce che, dalla data di produzione del cioccolato, proprio in sede di fabbrica intendo, il cioccolato scade in due anni.

Oltre questo tempo non può essere venduto, ed il produttore non garantisce più che il cioccolato manterrà le caratteristiche aromatiche, di aspetto e di consistenza che ha avuto fino a quel momento, seppur correttamente conservato.
Attenzione, questo non significa che non sarà più commestibile.

Probabilmente avrà un aroma meno intenso, una patina bianca (il burro di cacao che affiora), in bocca sarà meno scioglievole (sempre a causa del cambiamento fisico-chimico del burro di cacao).
Ma non causerà nessun tipo di mal di pancia, acne, perdita di capelli o nausea.

Un esempio di quello che è un cioccolato il cui burro di cacao è affiorato

Perché il cioccolato ha la capacità di durare così a lungo?

Facciamo un piccolo passo indietro e chiediamoci più in generale: perché il cibo ha una scadenza?

Per due motivi principali:

  1. Contiene acqua che può facilmente essere “abitata” da microorganismi (batteri, lieviti, virus, muffe) i quali si nutrono delle componenti zuccherine dell’alimento per crescere esponenzialmente, alterando così gli equilibri chimico-fisici e causando quasi sempre il deperimento o la formazione di tossine.
    Questo succede a qualsiasi cibo, più lentamente se viene conservato in frigorifero, molto lentamente se congelato, limitatamente se contiene conservanti, molto rapidamente se tenuto a temperatura ambiente, con velocità incredibile se riscaldato a temperatura corporea e magari pure a contatto con superfici contaminate (come ad esempio un dito che viene tuffato nel barattolo della marmellata).
  2. Per quanto riguarda i cibi che non contengono acqua, ovvero quelli a base oleosa, una possibile causa di deperimento è l’ossidazione delle molecole che compongono gli olii.
    Pensate all’olio di oliva; per lo più viene venduto in bottiglie scure o addirittura in latte metalliche.
    Questo non per motivi estetici ma proprio per conservare il prezioso olio.
    Infatti la luce è uno dei fattori che provocano o meglio accelerano il processo di invecchiamento, di ossidazione, di “irrancidimento” del grasso. Un altro fattore è la temperatura, un altro è l’esposizione all’aria (che appunto contiene ossigeno). Ecco perché sulle etichette leggete quasi sempre “conservate in luogo fresco asciutto e lontano da fonti di luce o calore”.
  3. Poi certo, c’è anche il possibile attacco di insetti e muffe, ma si spera che un cibo venga conservato nel modo opportuno che lo preserva quindi da questi problemi.

Il cioccolato rientra nella seconda categoria di alimenti, ma in più è composto da una percentuale significativa di un conservante perfetto: lo zucchero cristallino (avete presente che “lo zucchero non scade” vero?)

Ma allora, come può il cioccolato arrivare a un punto in cui non è più commestibile?

  • è stato conservato male e ha preso umidità.
    Questo comporta da un lato che lo zucchero, naturalmente molto igroscopico (che significa che assorbe l’acqua), tirerà dentro il cioccolato una certa quantità non irrilevante di acqua, la quale è terreno fertile per i microorganismi, che degraderanno l’alimento rendendolo non più commestibile.
  • È stato conservato male e si è scaldato, sciogliendosi e poi indurendosi di nuovo.
    Questo non lo rende nel senso stretto “non commestibile”; sicuramente in superficie sarà striato di bianco o di rosso o di entrambi; avrò una consistenza al palato molto più dura e il suo sapore avrà perso parecchio, ma non sarà nocivo per la salute. Lo avete insomma fatto invecchiare prematuramente.
  • È stato conservato male e alcuni insetti gli hanno fatto la festa.
    Eh sì, può succedere, e non dovete essere troppo duri con voi stessi: sono anche le famose farfalline della farina dei possibili infestanti del cioccolato. Può succedere.
    Se succede, per favore, buttatelo. Senza sensi di colpa.
    No, non potete darlo ai bambini che fanno “dolcetto o scherzetto”.

Cioccolato “stravecchio”

C’è poi chi ne fa un vanto di produrre un cioccolato “invecchiato”.
È comunque entro i limiti di legge (i due anni) ma è in dirittura di arrivo, ovvero 18 mesi.
Eh, sì, viene lasciato a maturare “in barricata” come si fa con il cognac per il medesimo principio: i tannini naturalmente presenti nel cacao (e quindi nel cioccolato) lavorano col tempo e con l’ossidazione modificando il profilo aromatico del prodotto, arrotondando e “affinando” alcuni specifici sentori.

È inutile dire che questo cioccolato ha un costo inavvicinabile per la media dei consumatori, i quali (giustamente, ritengo) cercano la qualità, possibilmente la genuinità, alcuni anche l’etica di un cioccolato, ma nel momento in cui si propone l’esclusività, pur con rammarico, fanno un passo indietro.

A queste persone (tra le quali annovero me stessa) do questa consolazione: per comprendere davvero una tavoletta di quel genere è necessario allenare il proprio palato, esattamente come si fa con i vini: se siamo abituati al Lambrusco del Discount, difficilmente comprenderemo appieno un Amarone.
Allo stesso modo, se abitualmente consumiamo note marche di cioccolato che di buono hanno solo il prezzo (per il compratore finale, s’intende), non dobbiamo stupirci se davanti a una tavoletta “speciale” non riconosceremo più di due aromi principali.
Questione di allenamento.

Infine: una volta ho voluto fare un esperimento spericolato.

Mi era capitata per le mani una tavoletta DAVVERO vecchia.
E intendo, decrepita.
Era parte di una famosa “razione K”.
Sì, la ho mangiata.

Immagine solo esemplificativa, era una barretta “orgogliosamente” italiana, quella che ho mangiato

Era terribile. Sembrava cartone invecchiato male, un cacao solubile più vicino alla carruba che al cacao e tenuto insieme in qualche modo fisicamente ignoto.

Ma sono sopravvissuta per raccontarvelo!

Ecco tutto, fatemi sapere se sono stata esaustiva, se vi è piaciuta questa nota o se avete voglia di sentirmi raccontare qualcosa ancora. Sarò felice di spiegare, nel limite delle mie competenze, quello che mi chiederete!

4 commenti su Cioccolato Scaduto

  • Maria16 Marzo 2021 at 15:28

    Ma se faccio sciogliere il cioccolato con la patina bianca e poi ricondensare, sparisce?

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    • Greta11 Aprile 2021 at 18:58

      Ciao!
      Sempre che non sia molto, molto vecchio il cioccolato in questione (in quel caso non ne vale la pena perché avrà perso parecchio in termini di profumo e sapore), se lo si fa sciogliere e ri-indurire non avrà la patina bianca SE lo mangeremo subito o SE gli si fa il processo chiamato “temperaggio” (o precristallizzazione) che serve a “rimettere in ordine i mattoncini” che costituiscono il burro di cacao 🙂 nel secondo caso lo si può incartare e rimarrà senza patina, bello lucido e croccante 😉

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  • Loredana8 Novembre 2023 at 19:12

    Buon pomeriggio
    Vorrei sapere se un cioccolato sfuso, amaro e in polvere quindi prodotto più o meno credo quando l’ho comprato, può quindi avere una scadenza di due anni? L’ho conservato nel pensile e in un contenitore di plastica con chiusura ermetica.
    Attendo gentilmente una gentile vostra risposta.
    Vi ringrazio
    Un saluto
    Loredana

    Rispondi
    • Greta9 Novembre 2023 at 14:36

      Buongiorno Loredana!
      Grazie per la domanda, provo a rispondere nei limiti delle mie competenze.
      Qui, prima della risposta, ci sono alcuni aspetti da approfondire, il primo è di sicurezza alimentare il secondo è di nomenclatura del prodotto in questione.
      Per la sicurezza alimentare vale sempre la massima: se ho un dubbio, costa sicuramente meno buttare che non procurarmi un fegato/rene nuovo; tristemente, perché buttare il cibo non è mai bello, però se abbiamo questo dubbio è la strada migliore.
      Detto questo, possiamo fare alcune considerazioni sulla probabile (non sicura) salubrità del cioccolato in questione (se sia cioccolato, ne parliamo dopo parlando della nomenclatura).
      Come dici, è in polvere il che è già una cosa positiva: in assenza di acqua non si sviluppano i microorganismi, che siano batteri, virus o lieviti/fungini, quindi non ci saranno tossine o ceppi virali o patogeni, ora però devi essere assolutamente sicura che sia effettivamente “asciutto”. Un modo sicurissimo per poterlo consumare eliminando questi dubbi è la cottura. Se lo usi per fare una torta, ad esempio, la permanenza in forno per più di mezz’ora a almeno 120°C ammazza qualsiasi cosa (eccetto le tossine, ma quelle se ci fossero te ne accorgeresti dall’aspetto deteriorato della polvere prima ancora di usarla).
      Che sia amaro invece, in parte, gioca a sfavore: lo zucchero è un conservante ma d’altro canto è anche igroscopico, ovvero assorbe umidità. Quindi diciamo che ci importa relativamente.
      Conservandolo in una scatola ermetica e in più in un pensile (quindi non alla luce) sei abbastanza sicura che i grassi non siano irranciditi, ma questo lo senti “a naso”, se l’odore è sgradevole, è irrancidito, e non va consumato perchè è sgradevole il gusto, non per altro.
      Parliamo ora della nomenclatura: se è senza zucchero ed è in polvere le possibilità sono due e per entrambe non stiamo parlando di cioccolato. Il cioccolato infatti è definito per legge un prodotto dolce (che contiene quindi zucchero o al limite un dolcificante) e allo stato solido.
      Quindi, o è cacao amaro in polvere, vale a dire cacao “sgrassato” e ridotto a polvere (te ne accorgi dalla tabella nutrizionale, la voce grassi/fat dovrebbe andare da 15 e 25g per ogni 100g di prodotto), oppure è massa di cacao ridotta a polvere, cioè le fave di cacao tali e quali, macinate e poi, tramite processi vari, ora in forma di polvere; questa seconda sarebbe davvero una rarità perché di solito si trova in gocce o in blocchetti proprio come tavolette.
      Sia per il cacao amaro in polvere sia per la massa in ogni caso la durata consigliata è di 1 anno dalla produzione, meno del cioccolato perché appunto manca lo zucchero, conservante, e è più facilmente interessata a presenza di umidità e di conseguenza microorganismi patogeni.
      Smaltite le formalità, la risposta alla tua domanda è, purtroppo, dipende.
      Dipende da te, se accetti il rischio di una intossicazione (che può dare semplice mal di pancia ma anche conseguenze gravi)
      da come valuti la polvere: se il profumo, la consistenza e il colore ti sembrano inalterati dal prodotto fresco, io personalmente lo userei anche dopo due anni, ma io amo correre rischi!
      poi valuta anche i pro e i contro: è un cacao particolare (tipo, te lo ha portato quell’amica che è stata in Ecuador e è un cacao raro) o è una bustina di cacao di X marca (non faccio nomi, ma puoi inserire quella che preferisci)?
      Ecco, se fosse il secondo caso, e avessi dubbi su colore/odore/aspetto lo butterei; nel primo caso, magari in cottura, mi fiderei ad usarla. Farei dei brownies ad esempio, o una torta al cioccolato.
      Non la userei, invece, a crudo, ad esempio sopra il tiramisu, o nel latte o per fare creme da farcitura che non prevedono cottura.
      Ti chiedo scusa per la lungaggine della risposta, ma la domanda era molto interessante e ho colto l’occasione per approfondire!
      Ti auguro buone cioccolate!
      Greta

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