Vi è mai capitato di sentir dire che il cacao era talmente raro e prezioso che veniva utilizzato come moneta di scambio presso le popolazioni che vivevano nell’antico Messico? E che solo i ricchi potevano permettersi di includerlo nella propria dieta?
Anche il modo in cui si preparava il “cibo degli dei” deriva dalla stessa fonte di informazioni, che è un preziosissimo e unico manoscritto, ora noto come “Codice Fiorentino”.
Se vi interessa l’argomento, di seguito ve ne parlo più estesamente!

Il vero titolo del codice è “Historia general de las cosas de Nueva España” ed è una preziosa testimonianza del momento di incontro (e ancora non scontro) tra la popolazione europea e quella nativa del centro America.
Si presenta diviso in due colonne, a sinistra in spagnolo e a destra nella lingua indigena (nahuatl) “alfabetizzata” in quanto era tradizionalmente rappresentata in “scrittura-pittura” e non scritta in modo alfabetico come siamo abituati noi.
Curiosità: le bellissime illustrazioni che accompagnano i testi sono, di fatto, un adattamento di questa “scrittura-pittura” che serviva laddove le parole non erano sufficienti.

È costituito da dodici libri e fu composto dal missionario francescano Bernardino de Sahgùn, ma più correttamente bisognerebbe dire che nel corso dei trent’anni in cui fu scritto vi lavorarono sopra davvero molte menti e mani, missionarie e indigene.
Fu un processo sinergico e non forzato, tant’è che la stesura primitiva era in nahuatl e solo successivamente si aggiunse la traduzione, in occasione della stesura definitiva che avvenne a Tlatelolco (Città del Messico) nel 1577.

Alcune pagine in cui si tratta l’argomento del cacao e della sua elaborazione

C’è così tanto da raccontare su questo codice, ad esempio come è finito dal Messico alla corte dei Medici, a Firenze, ma temo di annoiarvi.
Vengo quindi al dunque andando direttamente al passo in cui si parla del nostro beneamato cacao, ovvero al Libro Decimo, “De los Vicios y Virtudos”, Capitolo 26, foglio 68, retro.
E non è stato facile trovarlo perché se è vero che tutti citano questo benedetto manoscritto quando parlano della storia del cacao, non si trova però da nessuna parte l’esatta posizione dei racconti sul cacao.

Le splendide illustrazioni mostrano come si lavorava il cacao; si riconoscono el metate (lo strumento di pietra che ancora oggi si usa per raffinare il cacao a mano), el comal (la piastra in cui si fa tostare il cacao), il processo di miscelamento con l’acqua per creare la schiuma, il momento della vendita.
Piccola nota personale: avete visto che carina ed efficace la nuvoletta che sta a indicare che la persona raffigurata sta parlando?

Altra nota personale: nelle illustrazioni vediamo che a fare ma soprattutto a vendere è una donna. Interessante, antropologicamente parlando, vero (considerando il valore del prodotto)?

Si spiega come colei che produce il cacao lo fa in modo appropriato se miscela nel modo corretto gli ingredienti, se quello che ne risulta ha l’aspetto invitante di una bevanda intensa ma non pastosa né liquida, di un bel colore rosso schiumoso.
Si racconta anche che esistevano le adulterazioni, in genere quelle propinate ai poveracci che non potevano permettersi la cioccolata come si deve; infatti veniva miscelata con il mais (cotto e lavato); ma i nobili di alto rango, come Montezuma, di cui ci parlano sia Cortés sia Bartolomé de las Casas, bevevano il cacao puro e con una ricetta personale, mescolato a spezie. In occasione della sua incoronazione il sovrano aveva elargito duemila brocche di cioccolata (xocolatl)!

Un’ultima curiosità che va a toccare anche un altro capitolo del libro; presso gli aztechi era fortemente deplorato lo stato di ubriachezza (e severamente punito). C’era, ovvio, un alcolico, detto pulque che veniva ottenuto dall’agave; il suo uso e soprattutto abuso era però considerato sinonimo di sventura e degrado. Piuttosto si consigliava di indulgere nel cioccolato, che oltretutto si riteneva in grado di fornire allucinazioni, alla pari di certi funghetti. Stiamo ovviamente parlando delle caste nobili; i plebei non avevano né i mezzi per procurarsi il cacao né l’animo di arrischiarsi a far infuriare dei e sovrani!

Se siete appassionati come me di vecchi scritti e ancor meglio manoscritti, troverete l’intera opera qui. Questa meravigliosa trasposizione è resa possibile dal progetto World Digital Library

Se però non siete pratici di lettura di antichi codici né tantomeno di spagnolo arcaico (e sì, siete un po’ arrugginiti nel vostro nahuatl) c’è un agile libricino edito da Mandragora, “Il mondo degli aztechi nel codice fiorentino”, 2007, che mi sono comprata perché nemmeno io sto messa molto bene con spagnolo e nauhatl.

Se vi interessa e non lo trovate lo potete venire a sfogliare in laboratorio!

3 commenti su Il Codice Fiorentino, dove si racconta come una brava azteca prepara la cioccolata

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